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mercoledì 18 ottobre 2017

[SpinOff] Episodio 7





Quando il brusio della battaglia era cessato, sentii distintamente dei passi provenire dal soffitto, era Evaline che cercava di raggiungermi. Se ci fosse riuscita avrebbe tentato ancora di fermarmi e sarebbe stata in pericolo. E questo per me era inaccettabile.
Corsi verso la porta blindata che dava sulle scale di servizio. Quando arrivai alla porta Evaline era davanti all'ascensore, dall'altra parte del corridoio. Aprii la porta e la richiusi subito dietro di me, sfondai la teca con dentro un'accetta, la presi e bloccai l'uscita.
Lo zio Mei una volta mi disse che i Guardiani non potevano attraversare pareti metalliche con il loro teletrasporto. Speravo valesse anche per Evaline. Alzai lo sguardo e lei era lì a fissarmi, era arrabbiata, delusa e sofferente nei miei confronti. Lo capivo ma non riuscivo ad accettarlo.
Misi una mano sul vetro della porta aspettando che lei ricambiasse. Lo fece. - Grazie! - le dissi anche se sapevo che non poteva sentirmi.
Mi girai sentendo altri motociclisti salire le scale urlando e sbraitando. Estrassi la pistola e mirai alla testa del primo che cadde rotolando giù. Andai incontro agli altri, il secondo colpo ferì un altro alla spalla ma cadde nella tromba delle scale, il terzo bersaglio riuscì a schivare il colpo e a raggiungermi. Lui provò a colpirmi con la mazza da baseball in metallo che aveva in mano. Schiva il fendente, portai la canna della pistola sotto al mento dell'uomo e sparai. Il sangue mi schizzò in faccia imbrattando capelli e vestiti. L'uomo cadde appoggiato al muro.
Scesi ancora di altri tre piani ma trovai ad attendermi altri quattro motociclisti, erano davanti alla porta per il garage.
- Andate, è solo una stupida ragazzina. - comandò uno di loro.
Titubanti due armati di coltelli da caccia eseguirono l'ordine e cominciarono a salire verso di me. Schivai due fendenti rivolti alla mia pancia e al viso. Sparai al petto a quello più distante e disarmai il secondo spezzandogli il polso. Presi la testa di quest'ultimo e la sbattei ripetutamente contro la ringhiera fino a fargli uscire il cervello.
Un terzo provò a spararmi ma io gli tirai un calcio al petto, lui cadde all'indietro rotolando fino al pianerottolo. Lo seguii per tutto il tragitto e alla fine gli tirai un altro calcio sul collo, gli spasmi mi fecero capire che era morto. Mi girai verso l'ultimo, stava tremando.
- Ti prego, non uccidermi. Ho una famiglia, ti scongiuro! - frignò.
Gli andai vicino e gli presi la mandibola. - Hai una famiglia? Davvero? E alla mia di famiglia se mi avessero ammazzata, ci hai pensato? - Lo guardai negli occhi.
- Sì... ci penso sempre... ogni... ogni volta... - Stava palesemente mentendo, lo avrebbe capito chiunque.
Sospirai. - Sai che c'è? Non ti credo! - Gli misi la seconda mano dietro la nuca e gli spezzai il collo, morto sul colpo.
Presi la pistola al cadavere sul pianerottolo e aprii la porta del garage. Feci qualche passo ma venni colpita alle spalle da due uomini armati di assi di legno. Barcollai in avanti, il dolore era intenso ma riuscii a reggermi in piedi. Mi voltai estraendo le pistole e scaricai il caricatore sui due che caddero crivellati di colpi in un lago di sangue.
- Ma tu chi cazzo sei? - Mi chiese una voce maschile dietro di me.
Mi girai. L'uomo che aveva parlato era in mezzo ad altri due motociclisti che fissavano, inorriditi, i loro compagni morti. Aveva la testa pelata con dei tatuaggi disegnati sulla pelle raffiguranti diverse simbologie. I suoi compagni erano armati di coltello e machete.
- Qualcuno che farà giustizia! - ringhiai.
- Ah, sì? Ragazzi fatela a pezzi, adesso! - ordinò l'uomo pelato. Era lui che comandava la banda.
- Siete sicuri? I vostri amici ci hanno provato ed ora marciscono lì dentro. - Indicai la porta delle scale.
I due si guardarono preoccupati. Guardarono il loro capo, gettarono le armi e si misero a correre verso l'uscita.
Eh no, ragazzi. Non scapperete!” pensai.
Con uno scatto cambiai il caricatore alla mia pistola. Avanzai camminando, mirai alle loro gambe e sparai. Il capo si spostò di lato sconcertato.
Presi il machete e mi avvicinai ai due motociclisti a terra e li colpii alla testa, il sangue e la materia grigia mi era finito i vestiti.
Mi voltai verso il capo dei motociclisti, gli puntai la pistola alla testa fino a raggiungerlo. - Voglio sapere chi ha coperto i vostri crimini. Sicuramente il sindaco riusciva a coprire molte tracce, ma non tutti i dettagli. È impossibile, a meno che non ci sia qualcuno di grosso a coprirvi le spalle. - Gli premevo la canna sulla fronte. - Allora, parli o no? - e gli sparai su un ginocchio.
L'uomo urlò di dolore e cadde a terra. Mi acquattai, gli misi di nuovo la canna sulla fronte e lo fissai negli occhi.
Per un istante sembrava non voler rispondere. - La E.Corp. La donna della E.Corp. - bofonchiò dolorante.
- La E.Corp? La nuova multinazionale che si è trasferita qui a New Orleans? E di quale donna parli? - chiesi.
Lui non rispose. Puntai la pistola sul ginocchio sano premetti il grilletto. - Allora? - gli intimai.
L'uomo gridò di nuovo di dolore. Appena si riprese dallo shock mi disse: - Una donna con i capelli corti... è lei che ci paga. Cazzo, che male! - Si stringeva le ginocchia piangendo.
La stessa donna descritta da Evaline durante la riunione del Gran Circolo!” ragionai.
Dovevo fare delle ricerche più approfondite su quella azienda e sulle persone al vertice del comando a New Orleans, la questione era diventata, improvvisamente, più grossa di quanto mi aspettassi.
Mi guardai attorno, l'ascensore era a pochi passi dalla porta di servizio e la spia lampeggiava. La premetti il pulsante e le porte si aprirono. Vidi la custodia ancora a terra dove l'avevo lasciata e la raccolsi.
Tornai verso l'uscita del garage, ma sulla soglia ad aspettarmi c'era Evaline con una mano sulla bocca, disgustata. - Che cos'hai fatto? - mi rimproverò.
- Quello che nessuno avrebbe potuto fare. Credevo l'avessimo chiarito questo punto? - risposi.
Mi guardò stupefatta. - Questo è un massacro, Kaileena! - commentò.
Rimasi a guardare la sua espressione. “Non riesce a capire!” pensai con un nodo alla gola.
- Queste persone non sarebbero mai andate ad un processo, Evie. Qualcuno più in alto di loro, del sindaco, e di tutti i dei giudici della città, li farebbe scagionare. Oppure li avrebbe fatti sparire. - provai a spiegarle.
- Ma questo non giustifica un tale massacro. - continuò urlando.
- La gente di cui ti ho parlato capisce solo una cosa: la paura di incontrare persone come me, incorruttibile e implacabile. Solo questo! - sbraitai più forte di lei.
L'uomo si mise a ridere isterico. - Quella donna ti farà fuori. Diceva di essere una strega, come quei strani tizi che girano per le strade negli ultimi anni. Ed io... le credo perché ho visto di cos'è capace. E le sue guardie del corpo sono anche peggio. - Ci spiegò, poi tornò a ridere.
Sapevo che non sarebbe sopravvissuto all'arrivo di un'ambulanza, aveva perso troppo sangue. - Questa è un'ottima informazione, grazie! - Puntai la pistola alla sua testa e sparai un paio volte per essere sicura di averlo eliminato.
Evaline mi guardò con un volto truce. - Non dovevi farlo! -
Mi diressi all'uscita. - Hai ragione. Non dovevo farlo. Ma anche loro non dovevano spacciare droga, uccidere rivali a sangue freddo. Oppure fare a pezzi i corpi di ragazze innocenti e nasconderle nel Bayou aspettando che i coccodrilli se ne cibassero. - Continuai a camminare senza guardarla.
Lei guardò i corpi a terra e poi passò a me, aveva capito finalmente cosa intendevo dire. - Non potrai tornare con noi in questo stato, lo sai? - mi chiese con le lacrime che le scendevano sulle guance.
- Non intendo farlo finché non avrò finito! - le risposi.
- Spero solo riuscirai a risalire il fondo... da sola. - continuò.
Mi girai verso di lei. - Fondo? No. Ho solo raschiato la superficie. - Le sorrisi e mi voltai. - Ma se avrai bisogno del mio aiuto basta che fai uno squillo sul cellulare, non esiterò. - le urlai girando l'angolo. Le sirene della polizia in lontananza mi intimarono ad accelerare il passo.
Feci qualche isolato, mi infilai in un vicolo buio, mi misi a sedere e cominciai a piangere. Quella che avevo intrapreso era una strada solitaria e avere legami con altre persone significava metterle in serio pericolo. Volevo troppo bene a Evaline, che per me era una sorella, e nemmeno a Tiffany, neppure ai due marmocchi, Jolene e Francis. Loro erano la mia famiglia, l'unico posto dove mi sentivo a casa e li avrei difesi a costo della vita.




Per chi volesse contribuire in questo modo all'editing dei libri: Grazie mille.



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